L’attività romana
Orazio Gentileschi nacque a Pisa nel luglio del 1563; il padre era Giovan Battista Lomi, un artista fiorentino che si era trasferito a Pisa, da qui il suo firmarsi “fiorentino”. Il cognome Gentileschi era quello materno, mentre il cognome paterno era Lomi, cognome con il quale la figlia Artemisia, in un periodo della sua vita si firmerà. Orazio ebbe anche due fratelli più grandi, Baccio ed Aurelio, entrambi pittori.
All’età di tredici anni Orazio si reca a Roma, sotto il papato di Gregorio XIII, quindi fu messo al servizio delle imprese decorative di Gregorio e di Sisto V, decorazioni che erano l’ultimo respiro del manierismo. Tra il 1587 e il 1588 lavorava nelle sale sistine della biblioteca vaticana e pare che attendesse a lavori da orafo realizzando, nel 1593, le medaglie di Clemente VIII. Sembra che il tirocinio di Orazio fosse molto lungo in effetti la sua pittura fu sempre molto lenta e metodica.
Non prima del 1590 realizza un affresco, in Santa Maria Maggiore, raffigurante una Circoncisione, e nel transetto di San Giovanni in Laterano realizza un San Taddeo. In questi due lavori si può notare come, anche se in età matura, Orazio non avesse ancora uno stile proprio.
Nel 1603, attraverso una luce morbida che era nel suo animo, e sotto la spinta della luminosità caravaggesca nasce il San Francesco stigmatizzato sorretto da un angelo conservato al Prado di Madrid. Il santo appare decisamente stanco e forse quasi desideroso di profondo sonno, mentre l’angelo realizzato con delle magnifiche ali, sorregge il fisico stanco e il dolore per le ferite che il santo ha ricevuto e lo guarda in modo tra il pietoso e l’amorevole. Realizza nel 1607 per la cappella Olgiati in Santa Maria della Pace “Il Battesimo di Cristo”.
Al 1607 risale la raffigurazione de Santa Cecilia e i santi Tiburzio e Valeriano ora a Brera. Il momento rappresentato è quello del matrimonio di Cecilia con Valeriano a loro dunque appare un angelo che converte Valeriano e Tiburzio alla religione cristiana, l’angelo porta con sé una corona di fiori e la palma del martirio che preannuncia il sacrificio dei tre personaggi, il ricordo caravaggesco in quest’opera è fortissimo, infatti lo possiamo riscontrare nell’angelo con il suo modo di scendere dall’alto, con il suo manto bianco, con il drappo verde posto nella parte alta della tela e con la luminosità plastica utilizzata dal pittore.
Realizza nel 1610 il Davide con la testa di Golia nella Galleria Spada a Roma. In questa raffigurazione la testa del Gigante ci ricorda il Golia caravaggesco, tuttavia qui non è posto in primo piano, come succede nel Caravaggio, il Gentileschi infatti non lo pone come trofeo, ma lo mette in secondo piano in un posto dove la luce non arriva rendendolo poco nitido rispetto al David, mentre quest’ultimo è pervaso completamente dalla luce, il volto sembra corrucciato e quasi disgustato dalla morte, egli seppure vincitore sembra vergognarsi del suo successo e tiene l’arma con cui ha ucciso Golia quasi nascosta, in effetti l’arma non è illuminata, e rimane perfettamente nell’ombra.
Tra il 1609 e il 1610 sono documentati i suoi rapporti con il duca di Mantova per cui realizza una Madonna con Bambino (forse quella della Galleria Contini-Bonacossi). Di quest’epoca sono anche i rapporti con il paesaggista Agostino Tassi con cui realizza gli affreschi della “Loggia di Montecavallo” (odierno palazzo Pallavicini Rospigliosi); i rapporti con il Tassi si concluderanno nel 1612 con il processo intentatogli per aver abusato della quindicenne Artemisia. Nel 1612 in effetti fu chiamato di nuovo al tribunale di Roma stavolta come testimone dell’accusa nei confronti del suo collega reo dello stupro della figlia, anche lei pittrice.
Il periodo nelle Marche (1613-1619)
Nel 1613 si reca a Fabriano dove realizza alcune pale d’altare tra cui quella raffigurante un San Francesco sorretto da un angelo tema già affrontato, senso di drammaticità ci potrebbe venire dalla posizione quasi frontale del santo e dal modo di dare luminosità ai soggetti, l’angelo appare qui più pensoso e più divino, ci appare più chiaro, più plastico, più quieto rispetto al primo; tutto il dipinto è pervaso da un senso di quiete ed è questo che rende altamente poetico il dipinto, è il non sapere come guardare i soggetti, ovvero se averne pietà o gioia per il modo in cui il Cristo lo rende partecipe della sua sofferenza.
Di questo periodo sono gli affreschi per il Duomo della città e quelli per la chiesa di San Benedetto. In queste opere si trova una sorta di provincialismo, pur non tralasciando le precedenti esperienze pittoriche, che lo stavano lentamente maturando stilisticamente. Tutto un miscuglio di impressioni ed esperienze si ritrova nella Madonna di casa Rosei più comunemente detta Visione di santa Francesca Romana. E sulla Madonna di casa rosei non ci sono parole, è assolutamente poetica, stupenda nei colori e nelle espressioni, sembra tornare un ricordo del Correggio, ma anche se questo ricordo potrebbe svilire l’opera del Gentileschi, avviene il contrario ovvero l’opera ne viene esaltata, le nubi che chiudevano le porte del mondo alla Vergine sembrano venire aperte da alcuni cherubini che vi si celano e che sembrano figli del vento, sono ancora lì mentre la santa adora il Bambino con un viso che ci appare sereno, felice e consapevole dell’opportunità che gli è stata riservata, mentre l’angioletto posto a destra guarda la vergine che in quel momento sembra solo una donna che attende di riavere tra le braccia il suo bimbo, quello che ci rende consapevoli della sua divinità è l’aureola appena accennata con dei raggi luminosi.
Nel 1619 termina la fase marchigiana segnata da una supplica del pittore a Francesco Maria II della Rovere per ottenere degli incarichi a Pesaro.
Passaggio a Genova e ritorno in Toscana (1621-1624)
Tra il 1621 e il 1623 si trova a Genova, ospite del banchiere Antonio Sauli, per il quale realizza una raffigurazione di Lot e le figlie, la celebre Danae oggi al Getty Museum di Los Angeles, e due versioni del tema raffigurante l’Annunciazione di cui la prima si trova nella chiesa di San Siro e la seconda, qualitativamente migliore, la possiamo vedere nella Galleria Sabauda di Torino. Questa tela è la sintesi dello stile del pittore, riaffiorano studi vecchi ed antichi, l’ammirazione per il Caravaggio, la cultura elegante dei toscani che qui prende vita nella bellezza aristocratica della Vergine, con il suo appena accennato gesto di sottomissione al volere del divino, la cultura fiamminga che di solito rende tutto nel particolare e che qui si fa viva nella rappresentazione del letto disfatto.
Quindi siamo arrivati ad una coerenza pittorica dopo il suo lungo studio che tuttavia sembra interminabile, perché fino all’ultimo capace di assorbire i vari stili.
Il pittore si trova poi nella corte medicea e nel 1626, realizza la bellissima Suonatrice di Liuto e la tela raffigurante Giuseppe e la moglie di Putifarre.
Alla corte francese (1624-1626)
Nel 1624 raggiunse Parigi alla corte della Regina di Francia, Maria de’ Medici, la quale aveva raggruppato intorno a sé numerosi artisti di origine toscana, importando le novità della pittura italiana nell’Europa del Nord.
Il caravaggismo aveva in Valentin de Boulogne e Georges de La Tour due fra i più importanti rappresentanti di questo nuovo modo pittorico in Francia, ma coloro che più di altri furono influenzati dall’opera di Gentileschi furono i pittori olandesi.
Trasferimento a Londra e ultimi anni (1626-1639)
Nel 1626 lasciò la corte francese per recarsi poi alla corte di Carlo I in Inghilterra. Di questo periodo sono la poco felice Riposo durante la fuga in Egitto del Louvre, ripetuta in più versioni e del 1630 è la realizzazione del Ritrovamento di Mosè (Madrid, Museo del Prado). Quest’ultimo periodo della sua vita, forse a causa di una limitata libertà espressiva o a causa della vita di corte sarà quasi del tutto infelice. Il pittore muore intorno all’anno 1639 a Londra.
Elenco dei dipinti
- San Francesco sostenuto da un angelo (1603 circa), olio su tela, 126×98 cm, Madrid, Museo del Prado
- Madonna col Bambino (1604 circa), olio su tela, 131×91 cm, Roma, Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Corsini
- L’Assunta (1605), Olio su tela, Torino, Museo civico d’arte antica
- Salita al Calvario (1605-1607), olio su tela, 138,5×173 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
- Paesaggio con san Cristoforo che traghetta il Bambino (1605-1610), olio su tela, 21×28 cm, Berlino, Staatliche Museen
- “Battesimo di Cristo” (1607), olio su tela, Roma, Santa Maria della Pace
- Madonna che allatta il Bambino, 1609 ca, olio su tela, Bucarest, Museo nazionale d’arte rumeno
- David che contempla la testa di Golia (1610 circa), Olio su rame, 37×29 cm, Berlino, Staatliche Museen
- Davide contempla la testa di Golia (1610 circa), Olio su tela, 173×142 cm, Roma, Galleria Spada
- Giuditta e la schiava con la testa di Oloferne, 1611-1612 ca, olio su tela, 123 x 142 cm, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana
- Giovanne donna con un violino, 1612 ca, olio su tela, 83,5 x 97, Detroit, Institute of Arts
- San Francesco sorretto da un angelo (1612-1613), olio su tela, 133×98 cm, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini
- Il sacrificio di Isacco (1615), Olio su tela, Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola
- La Vergine presenta il Bambino a santa Francesca Romana (1615-1619), olio su tela, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
- Madonna con Bambino in un paesaggio, 1615-1620, olio su tela, Genova, Galleria di Palazzo Rosso
- Santa Cecilia suona la spinetta 1615-1620, olio su tela, Perugia, Galleria nazionale dell’Umbria
- Circoncisione, 1616-1620 ca, olio su tela, 390 x 252 cm, Ancona, Chiesa del Gesù
- Santa Cecilia e l’angelo (1618-1621), Olio su tela, 88×108 cm, Washington, National Gallery of Art
- Due donne allo specchio, 1620 ca, olio su tela, 132,5 x 154,5 cm, Monaco, Alte Pinakothek
- Ritratto di giovane donna come Sibilla, 1620 ca, olio su tela, 82,5 x 73 cm, Houston, Texas, Museum of Fine Arts
- San Carlo Borromeo contempla gli strumenti della Passione, 1620, olio su tela, 286 x 196,5 cm, Fabriano, Chiesa di San Benedetto
- Santi Cecilia, Valeriano e Tiburzio (1620 circa), Olio su tela, 350×218 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
- Danae (1621 circa), Olio su tela, 161×227 cm, Los Angeles, J Paul Getty Museum
- Danae (1621 circa), Olio su tela, 162×229 cm, Cleveland, Museum of Art
- Lot e le figlie (1621 circa), Olio su tela, 120×168,5 cm, Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
- Lot ubriacato dalla figlie (1622 circa), Olio su tela, 152×189 cm, Los Angeles, J Paul Getty Museum
- Lot e le figlie (1622-1623), Olio su tela, 164×193 cm, Berlino, Staatliche Museen
- Annunciazione (1623 circa), Olio su tela, 286×196 cm, Torino, Galleria Sabauda
- La Felicità pubblica trionfante sui pericoli (1624-1625), Olio su tela, 268×170 cm, Parigi, Musée du Louvre
- Suonatrice di liuto (1626 circa), Olio su tela, 144×130 cm, Washington, National Gallery of Art
- Santa Maria Maddalena penitente, 1626-1628 ca, olio su tela, 163 x 208 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
- Giuseppe e la moglie di Putifarre (1626-1630), Olio su tela, 204,9×261,9 cm, Windsor, Royal Collection
- Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, Birmingham, City Museum and Art Gallery
- Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, Ex J P Getty Museum
- Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum
- Riposo durante la fuga in Egitto (1628 circa), Olio su tela, Parigi, Musée du Louvre
- Lot e le figlie, 1628 ca, olio su tela, 226 x 282 cm, Bilbao, Museo de Bellas Artes
- Cupido e Psiche (1628-1630), Olio su tela, 137×160 cm, San Pietroburgo, Ermitage
- Mosè salvato dalle acque, 1630 ca, olio su tela, 257 x 301 cm, Londra, National Gallery
- Il ritrovamento di Mosè (1630-1633), Olio su tela, 242×281 cm, Londra, National Gallery
- Una Sibilla, 1635-1638 ca, olio su tela, 59 x 68,+7 cm, Windsor, Royal Collection
Gentileschi non fu un pedissequo riproduttore delle novità caravaggesche, ma la sua pittura sviluppò una versione autonoma della pittura del lombardo fondendo nella sua opera le luminosità e le forme michelangiolesche del manierismo toscano con quelle romano-lombarde di Caravaggio.
I suoi rapporti con il Merisi furono comunque molto stretti: fu querelato, infatti, con lui, Onorio Longhi e Filippo Trisegni nel 1603 dal pittore Giovanni Baglione, con l’accusa di aver diffuso un libello di poesie scurrili e diffamatorie ai suoi danni.
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