Michelangelo Merisi, universalmente detto il Caravaggio, (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) è stato un pittore italiano. Formatosi a Milano e attivo a Roma, Napoli, Malta e in Sicilia fra il 1593 e il 1610, è uno dei più celebri pittori di tutti i tempi, tuttavia assurto a fama universale solo nel XX secolo, dopo un periodo di oblio. I suoi dipinti, che combinano un’analisi dello stato umano, sia fisico, sia emotivo, con uno scenografico uso della luce, hanno avuto forte influenza sulla pittura barocca.
Animo particolarmente irrequieto, nella sua breve esistenza affrontò gravi vicissitudini. Data cruciale per l’arte e la vita di Caravaggio fu il 28 maggio 1606: responsabile di un omicidio durante una rissa e condannato a morte, dovette sempre fuggire per scampare alla pena capitale. Il suo stile artistico influenzò direttamente o indirettamente la pittura dei secoli successivi, costituendo la corrente del caravaggismo.
Biografia
Giovinezza e formazione (1571-1596)
Prima del ritrovamento dell’atto di battesimo di Michelangelo Merisi, si credeva che il pittore fosse nato nel paese di Caravaggio, nel 1573. A seguito della scoperta archivistica nel Liber Baptizatorum della Parrocchia di Santo Stefano in Brolo, è ormai certo che Caravaggio nacque nella città di Milano, probabilmente il 29 settembre (giorno di San Michele Arcangelo, dal quale forse il nome Michelangelo. Meno certa è invece la data del 25 settembre), visto che l’atto di battesimo è datato 30 settembre 1571. Tale documento recita: «Adi 30 fu batz.o [battezzato] Michel angelo f[ilio] de d[omino] Fermo Merixio et d[omina] Lutia de Oratoribus/ compare d[omino] Fran[cesco] Sessa».
I genitori del pittore – Fermo Merisi e Lucia Aratori – erano comunque nativi di Caravaggio. Il cognome, a volte trascritto in alcuni documenti come Merigi, Amerighi o Merighi, viene più spesso confermato come Merisi e, più tardivamente, anche nella variante Merisio.
Il 14 gennaio 1571 si sposarono e, sotto la protezione e l’aiuto del marchese di Caravaggio e conte di Galliate Francesco I Sforza (che fece loro da testimone), si trasferirono a Milano, probabilmente per lavoro. Alcuni storici affermano che Fermo Merisi appartenesse al gruppo dei magister, cioè uno dei maestri-architetti addetti ai cantieri delle chiese milanesi. È dunque ipotizzabile che la famiglia vivesse presso gli alloggi delle maestranze della “Fabbrica del Duomo di Milano”, delle quali faceva probabilmente parte anche Fermo. Altre ipotesi invece, avanzate dallo storico Maurizio Calvesi, sosterrebbero che Fermo Merisi fosse, in realtà, un semplice maestro di casa al soldo degli stessi marchesi di Caravaggio residenti a Milano, e che esercitasse “sia pure modestamente, il mestiere di architetto”. È confermata anche l’esistenza di una sorella, Caterina, più altri due fratelli, Giovan Battista, che si farà prete, e Giovan Pietro.
Apprendistato
Nel 1577, per sfuggire alla peste, la famiglia Merisi lasciò Milano per tornare al paese, tuttavia il padre contrasse la malattia ed ivi morì dopo poco tempo, seguito dal nonno Bernardino e lo zio Pietro.
A soli 13 anni, terminata l’epidemia in città, il giovane Merisi fu mandato a lavorare a bottega a Milano presso il laboratorio di Simone Peterzano, pittore del manierismo lombardo che si professava diretto allievo di Tiziano (si veda l’iscrizione in calce al suo autoritratto). Il contratto di lavoro, datato 6 aprile 1584, è firmato dalla madre, per poco più di quaranta scudi d’oro. Secondo i biografi Mia Cinotti e Gian Alberto dell’Acqua, “il contratto di apprendistato col Peterzano, del 6 aprile 1584, sanzionava certamente un rapporto già in atto, perché Michelangelo risulta abitante nella casa del maestro“. Le varie date dei documenti sono certe, considerando che in quel periodo era appena stato riformato il calendario.
L’apprendistato del giovane si protrasse per circa quattro anni, durante i quali apprese la lezione dei maestri della scuola pittorica lombarda e veneta. Dalle Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini, uno dei biografi dell’artista, abbiamo notizia del carattere del giovane Caravaggio in quegli anni: «Studiò in fanciullezza per quattro o cinque anni in Milano, con diligenza ancorché di quando in quando facesse qualche stravaganza causata da quel calore e spirito così grande».
Gli anni dal 1588, anno di scadenza con Peterzano, fino al 1592, ultima testimonianza della sua presenza in Lombardia prima di raggiungere Roma, risultano piuttosto nebulosi. Secondo Mancini, la madre del pittore morì a Milano il 29 novembre 1590, dunque, risolta la spartizione dell’eredità (della quale è pervenuta la documentazione), il giovane Merisi lasciò definitivamente la Lombardia circa alla metà del 1592.
Tuttavia, secondo documenti emersi nel 2010 dall’Archivio di Stato di Roma (testimonianza del barbiere Pietropaolo Pellegrino), l’artista non visse stabilmente nella Città eterna almeno fino al 1596, anno nel quale è documentata la sua residenza presso la bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli. Secondo il biografo Bellori, il giovane pittore, «d’ingegno torbido, e contentioso», fuggì da Milano per altre ragioni, definite vagamente «discordie», e quindi giunse «in Venetia ove si compiacque tanto del colorito di Giorgione, che se lo propose per iscorta nell’imitatione». Sempre secondo il Bellori infatti, il pittore si sarebbe recato a Venezia col maestro Peterzano, per un soggiorno di breve durata. Tale notizia, sostenuta solo dal Bellori è ancor oggi fortemente dibattuta, giacché non ci sono altri riscontri d’archivio. Tuttavia, i legami stilistici con la grande scuola veneta di Giorgione, Tiziano e Tintoretto sarebbero ancor più facilmente spiegabili, anche se occorre precisare che il suo stile avrebbe potuto risentire in ogni caso degli influssi veneti, poiché il dominio della Serenissima arrivava, all’epoca, fino a Bergamo.
Secondo Longhi, per lo sviluppo dello stile del pittore sarebbe stata significativa la riflessione su alcuni maestri lombardi, soprattutto di area bresciana, quali Foppa, Bergognone, Savoldo, Moretto e Romanino, e cremonese, come Vincenzo Campi (in particolare il suo capolavoro, la tela di San Matteo) che Longhi definisce pre-caravaggeschi. A tale scuola, si dovrebbero l’avvio della rivoluzione luministica e la caratterizzazione naturalistica dei dipinti (contrapposta a certa aulicità rinascimentale), elementi centrali della pittura del Merisi.
I primi successi a Roma (1594-1606)
La sua presenza a Roma dal 1592 al 1593 non è sostenuta da fonti storiche certe, tuttavia sappiamo che nel 1594 fu sicuramente ospite di monsignor Pandolfo Pucci da Recanati, da lui soprannominato monsignor Insalata, per via dell’unico alimento che gli forniva. Secondo le fonti Caravaggio dipingeva ritratti e copie di devozione.
Nel periodo 1595-1596 cominciò ad entrare nell’ambiente artistico romano, dove conobbe il già noto pittore messinese Lorenzo Carli, all’epoca con una bottega in via della Scrofa, e dove il giovane Merisi trovò lavoro e soggiorno. Grazie a lui, conobbe a sua volta il giovane siciliano Mario Minniti, che diventerà uno dei suoi più cari amici almeno fino agli inizi del XVII secolo, quando il Minniti fece ritorno in Sicilia. Lasciata la bottega del Carli, dedicata a fasce più modeste di mercato, ebbe un breve sodalizio con Antiveduto Gramatica, quindi frequentò, per alcuni mesi, la bottega del pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, uno dei maggiori esponenti del tardo manierismo.
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Suonatore di liuto, Roma 1596. Manhattan,
Metropolitan Museum.
Per una breve malattia, Merisi fu ricoverato all’ospedale della Consolazione, interrompendo così il rapporto con il Cesari. In questo periodo probabilmente, Caravaggio fu impiegato come esecutore di nature morte e di parti decorative di opere più complesse, ma non se ne ha testimonianza certa. Un’ipotesi, priva di riscontri, è che Caravaggio possa aver realizzato i festoni decorativi della cappella Olgiati, nella basilica di Santa Prassede a Roma, cappella poi affrescata dallo stesso Cavalier d’Arpino.
L’amicizia con il cardinal Del Monte
Dimesso dal ricovero, grazie al suo amico pittore Costantino Spata, nel 1597 Merisi conobbe il cardinal Francesco Maria del Monte, grandissimo uomo di cultura e appassionato d’arte che, incantato dalla sua pittura, gli acquistò alcuni quadri, tra i quali il famosissimo I bari. Il giovane lombardo entrò quindi al suo servizio, rimanendovi per circa tre anni. Del Monte, secondo Bellori: «ridusse in buono stato Michele e lo sollevò dandogli luogo onorato in casa fra i gentiluomini».
La fama dell’artista cominciò a salire all’interno dei più importanti salotti dell’alta nobiltà romana. L’ambiente fu scosso dalla sua pittura rivoluzionaria, immediatamente al centro di discussioni e accese polemiche. Grazie alle commissioni del suo influente e illuminato prelato, Caravaggio mutò il proprio stile, abbandonando le tele di piccole dimensioni e i singoli ritratti e cominciando a dedicarsi alla realizzazione di opere complesse, con gruppi di più personaggi descritti in episodi specifici. Uno dei primi lavori di questo periodo è il Riposo durante la fuga in Egitto.
Nel giro di pochi anni la sua fama crebbe moltissimo e Caravaggio divenne un mito vivente per un’intera generazione di pittori, che ne esaltò stile e tematiche.
Le opere romane dal 1599 in poi
Nel 1599 Caravaggio, grazie all’aiuto del cardinale Francesco Maria del Monte, ricevette la prima commissione pubblica per tre grandi tele da collocare all’interno della cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma. I dipinti che Caravaggio doveva realizzare riguardavano episodi tratti dalla vita di san Matteo: la Vocazione e il Martirio.
In meno di un anno il pittore concluse le due opere che gli aprirono il successo, così che ebbe immediatamente altri importanti incarichi. Dapprima da parte del commerciante Fabio Nuti, per un quadro identificato nella Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Palermo, a lungo ritenuta dipinta in Sicilia nel 1609. Quindi, per la basilica di Santa Maria del Popolo. Per ordine del monsignor Tiberio Cerasi, che aveva acquistato una cappella in questa chiesa (la cappella Cerasi, appunto), gli furono commissionati due dipinti: la Crocefissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo. Contemporaneamente Francesco Contarelli (nipote o figlio illegittimo di Matteo Contarelli) nel 1602 gli chiese la realizzazione di una terza tela per San Luigi dei Francesi: San Matteo e l’angelo. Il pittore, nonostante conoscesse bene il gusto dei suoi committenti, scelse soggetti popolari, che esprimessero in una dimensione reale e drammatica lo svolgersi degli eventi, rappresentando i valori spirituali della corrente pauperista all’interno della Chiesa cattolica.
La prima versione del San Matteo e l’angelo, distrutta in Germania durante la seconda guerra mondiale, fu rifiutata, dice il pittore e biografo Giovanni Baglione. La notizia, ritenuta attendibile fino a tutto il XX secolo, fu smentita da Luigi Spezzaferro nel 2000. L’insigne studioso ha dimostrato che la prima straordinaria versione del San Matteo e l’angelo era una pala d’altare provvisoria, da collocare temporaneamente nella Cappella in attesa che vi terminassero i lavori. La tela provvisoria non solo dava la possibilità ai religiosi di officiare la messa in un ambiente più decoroso, ma offrì a Caravaggio la possibilità di mettere in mostra le sue capacità, con la speranza di ricevere – come poi avvenne – la commissione delle tele, oggi note come il Ciclo di San Matteo. Quando a Caravaggio fu affidata la decorazione definitiva della Cappella Contarelli, la prima versione del San Matteo e l’angelo fu rimpiazzata dall’attuale, tuttora in loco. Nel caso del San Matteo e l’angelo, dunque, non si trattò di un rifiuto ma di una sostituzione già prevista. L’informazione fornita da Giovanni Baglione è quindi una “malignità” dovuta alla nota rivalità esistente tra Merisi e Baglione, per la quale si rimanda alla bibliografia in nota. L’episodio del presunto rifiuto del San Matteo e l’angelo, narrato anche da Bellori, coinvolge anche un altro importante protettore di Caravaggio, il marchese Vincenzo Giustiniani. Queste le parole di Bellori:
«Qui avvenne cosa, che pose in grandissimo disturbo, e quasi fece disperare Caravaggio in riguardo della riputazione; poiché avendo egli terminato il quadro di mezzo di San Matteo e postolo sù l’altare, fu tolto via dai Preti, con dire che quella figura non aveva decoro, né aspetto di santo, stando à sedere con le gambe incavalcate, e co’ piedi rozzamente esposti al popolo. Si disperava il Caravaggio per tale affronto nella prima opera da esso pubblicata in chiesa, quando il Marchese Vincenzo Giustiniani si mosse à favorirlo, e liberollo da questa pena; poiché interpostosi con quei Sacerdoti, si prese per sé il quadro, e glie ne fece fare un altro diverso, che è quello che si vede ora sul’altare» |
Il marchese Giustiniani, ricco banchiere genovese nel giro della corte pontificia (oltre che vicino di casa del cardinal Del Monte, visto che a Roma abitava in palazzo Giustiniani con il fratello cardinal Benedetto Giustiniani), fu protettore di Caravaggio per molti anni; collezionò moltissime sue opere e contribuì grandemente alla formazione culturale del pittore. In più di un’occasione, grazie alle sue ramificate influenze, riuscì a salvarlo dalle gravi questioni legali nelle quali era spesso implicato per colpa di un’indole aggressiva.
Un’altra opera comunemente ed erroneamente ritenuta rifiutata è la prima versione della Conversione di San Paolo, dipinta su legno di cipresso per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Come dimostrato da Luigi Spezzaferro, la pala non fu rifiutata ma sostituita con l’attuale in seguito a nuovi accordi intervenuti tra l’artista e gli eredi del committente Tiberio Cerasi.
Nel caso invece della Morte della Vergine, commissionata per la chiesa di Santa Maria della Scala a Roma, si trattò senza dubbio di un rifiuto. La figura della Vergine, rappresentata con il ventre gonfio e con i piedi in vista, fu ritenuta indecente dai Carmelitani Scalzi che rifiutarono il dipinto. Oltre alla posa indecorosa, Baglione e Bellori scrivono che la Vergine era stata raffigurata addirittura come “morta gonfia”. Scrive Spezzaferro:
«[…] per chi è romano e in modi più o meno simili parli ancora la lingua in cui scriveva il Baglione, [“morta gonfia”] significa semplicemente che la Vergine era un’umanissima donna gravida, morta di parto. Con buona pace dei tanti esegeti che su questo quadro si sono esercitati, forse si possono comprendere meglio le sacrosante ragioni [all’origine del rifiuto] dei Carmelitani scalzi […]» |
Dunque, piuttosto che una morte per annegamento, il ventre gonfio suggeriva una gravidanza che, ovviamente, rendeva questa raffigurazione ancora più scandalosa. Di questa grande pala, esiste un abbozzo eseguito dal Merisi, della sola figura della Maddalena piangente collocata in basso ai piedi della Vergine. Il ritaglio di questa sola figura, delle stesse dimensioni, è nota come Maddalena addolorata. L’opera di Caravaggio fu rimossa e sostituita da un dipinto eseguito da Carlo Saraceni, raffigurante lo stesso soggetto. Nonostante il rifiuto, la tela di Merisi fu immediatamente notata (e apprezzata) da Pieter Paul Rubens, celebre pittore fiammingo che all’epoca si trovava in Italia, pittore di corte al servizio di Vincenzo I Gonzaga. Rubens, che aveva anche l’incarico di arricchire la collezione del Duca di Mantova, suggerì a Vincenzo I di acquistare la Morte della Vergine per la considerevole cifra di 300 scudi. Il dipinto, acquistato da Rubens tra il febbraio e l’aprile del 1607, entrò così a far parte della ricchissima quadreria dei Gonzaga. In seguito ai dissesti finanziari del casato, il duca Vincenzo II (quartogenito di Vincenzo I ed erede del titolo ducale per la morte degli altri fratelli) svendette l’eccezionale collezione di famiglia. Parte di essa fu acquistata da Carlo I d’Inghilterra e la Morte della Vergine di Caravaggio lasciò l’Italia. In seguito alla decapitazione di Carlo I, i dipinti della collezione Gonzaga furono acquistati dal finanziere e collezionista Everard Jabach e successivamente da Luigi XIV. Il dipinto di Caravaggio arrivò così a Parigi, dove si trova tuttora (Musée du Louvre, Galerie des Italiens).
I guai con la legge e l’omicidio Tommasoni
Durante il soggiorno presso palazzo Madama, dimora del cardinal Del Monte, il 28 novembre del 1600 Merisi malmenò e percosse con un bastone Girolamo Stampa da Montepulciano, un nobile ospite del prelato: ne seguì una denuncia. Gli episodi di risse, violenze e schiamazzi andarono via via aumentando; spesso il pittore fu arrestato e condotto nelle carceri di Tor di Nona.
Non sarebbe comunque stato quello il primo guaio con la legge per il turbolento artista. Il Bellori sostenne che, intorno al 1590-1592, Caravaggio, già distintosi per risse tra bande di giovinastri, commise un omicidio a causa del quale fuggì da Milano prima per Venezia, poi per Roma. Il suo arrivo nella città papale sarebbe stato dunque la conseguenza di una fuga.
Nel 1601 fu rilasciato dal carcere, tornando a dipingere dapprima la Cattura di Cristo e poi Amor vincit omnia. Nel 1603 fu nuovamente processato, questa volta per la diffamazione di un altro pittore, Giovanni Baglione, che querelò sia Caravaggio sia i suoi seguaci Orazio Gentileschi e Onorio Longhi, colpevoli di aver scritto rime offensive nei suoi confronti. Grazie all’intervento dell’ambasciatore francese, Merisi, condannato al processo, fu liberato e trasferito agli arresti domiciliari, seppur per poco (aveva scontato già un mese di carcere a Tor di Nona).
Tra il maggio e l’ottobre del 1604 il pittore fu arrestato varie volte per possesso d’armi e ingiurie alle guardie cittadine; inoltre, fu querelato da un garzone d’osteria per avergli tirato in faccia un piatto di carciofi.
Nel 1605 fu costretto a scappare a Genova per circa tre settimane, dopo aver ferito gravemente un notaio, Mariano Pasqualone di Accumoli, a causa di Lena, amante e modella di Caravaggio. L’intervento dei protettori dell’artista riuscì a insabbiare l’accaduto anche se, al ritorno a Roma, il pittore fu querelato da Prudenzia Bruni, sua padrona di casa, per non aver pagato l’affitto; per ripicca, Merisi prese nottetempo a sassate la sua finestra, finendo nuovamente querelato. Nel novembre dello stesso anno il pittore fu degente per una ferita, che egli sostenne essersi procurato cadendo sulla propria spada.
Il fatto più grave però si svolse a Campo Marzio, la sera del 28 maggio 1606 (anno successivo all’elezione di papa Paolo V, zio di Scipione Borghese, grande estimatore di Caravaggio): a causa di una discussione causata da un fallo nel gioco della pallacorda (una sorta di tennis) il pittore fu ferito e, a sua volta, ferì mortalmente il rivale, tal Ranuccio Tommasoni da Terni, con il quale aveva avuto già in precedenza discussioni spesso sfociate in risse. Anche questa volta c’era di mezzo una donna, Fillide Melandroni, le cui grazie erano contese da entrambi. Probabilmente dietro l’assassinio di Ranuccio c’erano anche questioni economiche, forse qualche debito di gioco non pagato dal pittore, o addirittura questioni politiche: la famiglia Tommasoni infatti, era notoriamente filo-spagnola, mentre Michelangelo Merisi era un protetto dell’ambasciatore di Francia.
Il verdetto per il delitto di Campo Marzio fu severissimo: Caravaggio fu condannato alla decapitazione, che poteva esser eseguita da chiunque lo avesse riconosciuto per strada. Nei suoi dipinti cominciarono ossessivamente a comparire teste mozzate, e il suo macabro autoritratto prendeva spesso il posto del condannato.
Degli autoritratti di come fosse effettivamente il reale volto del pittore, forse uno dei più verosimili resta quello di un fuggitivo nella sua scena del “Martirio di san Matteo”. Tuttavia il ritratto più noto del Merisi rimane quello a opera di Ottavio Leoni, che lo conobbe personalmente ma lo eseguì almeno 11 anni dopo la morte. Il Leoni ritrasse anche Galileo Galilei, contemporaneo del Merisi, nel 1624; alcuni hanno riconosciuto, in quest’ultimo, la grande somiglianza con il Pilato nella celebre tela Ecce Homo di Caravaggio del 1601.
La fuga da Roma
La permanenza in città non era praticamente più possibile: ad aiutare Caravaggio a fuggire fu il principe Filippo I Colonna che gli offrì asilo all’interno di uno dei suoi feudi laziali di Marino, Palestrina, Zagarolo e Paliano. Il nobile romano mise in atto una serie di depistaggi, con l’aiuto di altri componenti della sua famiglia, che testimoniarono la presenza del pittore in altre città, facendone così perdere le tracce.
Per i Colonna Caravaggio eseguì in quel periodo diversi dipinti, su tutti la Cena in Emmaus, nella scarna versione oggi a Brera.
Gli ultimi anni (1606-1610)
Il primo periodo napoletano
Alla fine del 1606, Caravaggio giunse a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, dove rimase circa un anno.
La fama del pittore era ben nota. I Colonna lo raccomandarono a un ramo collaterale della famiglia residente a Napoli: i Carafa-Colonna. Qui il Merisi visse un periodo felice e prolifico. Furono infatti eseguiti: la Giuditta che decapita Oloferne (1607), scomparsa, della quale forse esiste una copia coeva nelle collezioni del banco di Napoli; una prima versione della Flagellazione di Cristo (1607), conservata presso il Musée des Beaux-Arts di Rouen; la Salomè con la testa del Battista (1607), alla National Gallery di Londra; la prima versione di Davide con la testa di Golia (1607), al Kunsthistorisches Museum di Vienna; la Crocifissione di sant’Andrea (1607), presso il Cleveland Museum of Art e infine, la più importante, che si ipotizza sia stata commissionata dai Carafa-Colonna, forse per collocarla nella cappella di famiglia nella chiesa di San Domenico Maggiore, la Madonna del Rosario (1606-1607). Poco dopo la sua esecuzione, il dipinto fu venduto a mercanti e portato nelle Fiandre, poi a Vienna, dove ora si trova.
Dei molti dipinti eseguiti durante il primo periodo napoletano, solo due sono ancora in città.
Il primo è il suggestivo Sette opere di Misericordia (1606-1607), uno dei lavori più importanti del Caravaggio. Le “sette opere di Misericordia corporali” sono condensati in un’unica scena. Sulla parte superiore del dipinto, a supervisionare l’intera scena che si svolge nella parte bassa, vi è la Madonna col Bambino accompagnata da due angeli. Riguardo ai forti contrasti del chiaroscuro, si potrebbe interpretare la luce luminosa come metafora della misericordia che “aiuta il pubblico a cercarla nella propria vita”. La tela, cardine per la pittura in Italia Meridionale e per la pittura italiana in generale, presenta una composizione più drammatica e concitata rispetto alle pitture romane, rinunciando a un fulcro centrale dell’azione. Questo aspetto fu di grande stimolo per la pittura barocca partenopea successiva e il passaggio del Merisi a Napoli, infatti, diede luogo alla nascita di molti esponenti caravaggeschi tra i pittori locali.
L’altro dipinto rimasto a Napoli, ovvero una seconda versione della Flagellazione di Cristo, fu eseguito tra il 1607 e il 1608 per la chiesa di San Domenico Maggiore e poi spostato al museo di Capodimonte.
Il soggiorno a Malta e in Sicilia
Nel 1607 Michelangelo Merisi partì per Malta, sempre per intercessione dei Colonna, e qui entrò in contatto con il gran maestro dell’ordine dei cavalieri di san Giovanni, Alof de Wignacourt, cui il pittore fece anche un ritratto. Il suo obiettivo era diventare cavaliere per ottenere l’immunità, poiché su di lui pendeva ancora la condanna alla decapitazione. In questo contesto il Caravaggio firmò un documento che mise in discussione il suo reale luogo di nascita: il pittore vi dichiara che sua città natale è Caravaggio, in provincia di Bergamo: “Carraca oppido vulgo de Caravagio in Longobardis natus“. A rimettere in discussione il suo luogo d’origine vi è poi un’ulteriore attestazione, proveniente dalla scoperta di un documento nuovo; in esso si legge la dichiarazione resa a Roma da un garzone mediolanensis, Pietro Paolo Pellegrino, nel corso di un interrogatorio: «questo pittore Michelangelo… al parlare tengo sia milanese», ma poi specifica «mettete lombardo, per che lui parla alla lombarda». Pellegrino non riconobbe nella cadenza del pittore l’accento che gli era familiare, essendo lui stesso milanese per nascita.
L’attività di pittore del Merisi proseguì, dipingendo nel 1608 la Decollazione di san Giovanni Battista, il suo quadro più grande per dimensioni, conservato nella Concattedrale di San Giovanni di La Valletta. Nella stessa chiesa si trova un’altra opera del pittore, il San Girolamo scrivente.
Dopo un anno di noviziato, il 14 luglio 1608 Caravaggio fu investito della carica di “cavaliere di grazia”, rango inferiore rispetto ai “cavalieri di giustizia” di origine aristocratica. Anche qui ebbe dei problemi: fu arrestato per un duro litigio con un cavaliere del rango superiore e perché si venne a sapere che su di lui pendeva una condanna a morte. Fu rinchiuso nel carcere di Sant’Angelo a La Valletta, il 6 ottobre: riuscì incredibilmente a evadere e a rifugiarsi in Sicilia, a Siracusa. Il 6 dicembre i cavalieri espulsero con disonore Caravaggio dall’ordine: «Come membro fetido e putrido».
A Siracusa, Caravaggio fu ospite di Mario Minniti, l’amico, conosciuto durante gli ultimi anni romani. Nella città siciliana s’interessò molto all’archeologia, studiandone i reperti ellenistici e romani: durante una visita assieme allo storico Vincenzo Mirabella coniò il nome “orecchio di Dionigi” per descrivere la “Grotta delle Latomie”. Durante questo soggiorno dipinse, per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro, una pala d’altare raffigurante il Seppellimento di santa Lucia (la patrona della città siciliana), la cui ambientazione sembra proprio quella delle grotte da lui ammirate.
A Messina dipinse la Resurrezione di Lazzaro, tetra incompiuta e cimiteriale rappresentazione, la cui parte centrale è occupata dal corpo di Lazzaro spasmodicamente teso nel gesto del braccio verso la luce, e l’Adorazione dei pastori.
Il Bellori cita la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi eseguita a Palermo per l’oratorio di san Lorenzo, ma recentemente ha preso consistenza l’ipotesi, suffragata anche da nuovi ritrovamenti documentari, secondo la quale essa fu dipinta nel 1600 a Roma, su richiesta del commerciante Fabio Nuti, e da lì spedita a Palermo. L’opera fu trafugata nel 1969 e mai più trovata. Le ipotesi di una sua distruzione sono state poi smentite.
Il secondo periodo napoletano
Alla fine dell’estate del 1609 Caravaggio tornò a Napoli. Qui, probabilmente in ottobre, affrontato con violenza da alcuni uomini al soldo del suo rivale maltese, all’uscita della Locanda del Cerriglio (nei pressi di via Monteoliveto), rimase sfigurato e cominciò a circolare la notizia della sua morte.
La fase creativa del suo secondo periodo napoletano è ricostruita dagli storici con molte congetture: dipinse sicuramente il San Giovanni Battista disteso (1610) appartenente a una collezione privata a Monaco di Baviera, la Negazione di san Pietro, il San Giovanni Battista e il Davide con la testa di Golia, quest’ultimo molto importante dal punto di vista storiografico in quanto raffigurante un autoritratto del Caravaggio nella testa mozzata, sorte dalla quale il Merisi tentava da anni di fuggire.
Ancora al periodo di Napoli sono da attribuire i due quadri con medesimo soggetto: la Salomè con la testa del Battista, che il pittore avrebbe dovuto recapitare ai Cavalieri dell’Ordine, e la Salomè con la testa del Battista a Madrid, cominciata durante il primo periodo napoletano.
Poi vi furono tre tele per la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi di Napoli, il San Francesco che riceve le Stimmate, il San Francesco in meditazione e una Resurrezione (quest’ultima nota oggi attraverso una copia di Louis Finson ad Aix en Provence), tutte perdute durante il terremoto del 1805 che causò il crollo di una parte dell’edificio.
Infine, dipinse il Martirio di sant’Orsola (1610) per Marcantonio Doria, oggi conservato nel palazzo Zevallos di Napoli. Questo è considerato l’ultimo dipinto di Caravaggio.
Ultimi giorni di vita
Da Roma gli fu inviata la notizia che papa Paolo V stava preparando una revoca della condanna a morte. Da Napoli quindi, dove abitava presso la marchesa Costanza Colonna nel palazzo Cellammare, si mise in viaggio nel luglio 1610 con una feluca-traghetto che, settimanalmente, navigava verso Porto Ercole (oggi frazione del promontorio di Monte Argentario, in Toscana) e ritorno, ma diretto segretamente allo scalo portuale di Palo di Ladispoli, sotto il feudo degli Orsini, in territorio papale, luogo distante circa 40 km da Roma. In quel feudo avrebbe atteso, in tutta sicurezza, il condono papale prima di ritornare, da uomo libero, nella Città eterna.
L’ipotesi più certa racconta che l’arrivo a Palo di Ladispoli, disatteso dalla sorveglianza costiera, ne causò il suo fermo per accertamenti. Tuttavia la feluca, non potendo aspettare, sbarcò il Merisi e continuò la rotta a nord, presso Porto Ercole, dove effettivamente doveva giungere, tuttavia portandosi dietro il bagaglio dell’artista. Quelle casse però, contenevano anche il prezzo concordato dal Merisi col cardinale Scipione Borghese per la sua definitiva libertà, ed in particolare tre sue tele: una “Maria Maddalena in estasi”, che dopo la sua morte fu invece restituita alla marchesa Colonna, un “San Giovanni Battista” (conosciuto anche come il “Buon Pastore”), questo successivamente consegnato a Scipione Borghese, quindi un altro “San Giovanni Battista disteso”‘ ora conservato in una collezione privata. Il bagaglio, letteralmente vitale, andava assolutamente recuperato: la versione ufficiale affermerebbe che gli Orsini gli avrebbero offerto un’imbarcazione per raggiungere Porto Ercole, e recuperare quindi il prezioso carico. L’artista quindi raggiunse Porto Ercole via mare, approdando lungo la spiaggia del tombolo della Feniglia, ma non è chiaro se la precedente feluca-traghetto stesse invece già ritornando a Napoli, coi suoi bagagli a bordo.
Provato, affaticato e malato di febbre alta, probabilmente a causa di un’infezione intestinale trascurata, restò a Porto Ercole, quindi curato inutilmente nel sanatorio Santa Maria Ausiliatrice della allora Confraternita locale di Santa Croce, che alloggiava presso il retro della chiesetta di Sant’Erasmo, situata nel borgo alto, e che assistette al suo decesso il 18 luglio 1610.
Elenco dei dipinti
Opere di Caravaggio.
Dipinto | Nome | Anno | Tecnica | Dimensioni | Città | Galleria | Note | |
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Ragazzo che monda un frutto | 1592 circa | Olio su tela | 75,5 × 64,4 cm | Firenze | Fondazione Roberto Longhi(copia, originale perduto) | Opera perduta, nota attraverso copie come quella citata a fianco. Secondo alcuni potrebbe essere la prima opera conosciuta. | ||
Bacchino malato | 1593-1594 | Olio su tela | 67 × 53 cm | Roma | Galleria Borghese | |||
Fanciullo con canestro di frutta | 1593-1594 | Olio su tela | 70 × 67 cm | Roma | Galleria Borghese | |||
Buona ventura | tra il 1593 ed il 1595 | Olio su tela | 115 × 150 cm | Roma | Pinacoteca Capitolina | Prima versione dell’opera. | ||
I bari | 1594 | Olio su tela | 94 × 131 cm | Fort Worth | Kimbell Art Museum | |||
I bari (Mahon) | 1595 | Olio su tela | 94,2 × 130,9 cm | Oxford | Ashmolean Museum | Secondo alcuni studiosi, antecedente a I bari di Fort Worth | ||
Maddalena penitente | 1594-1595 | Olio su tela | 122,5 × 98,5 cm | Roma | Galleria Doria Pamphilj | |||
San Francesco d’Assisi in estasi | 1594-1595 | Olio su tela | 92,5 × 128,4 cm | Hartford | Wadsworth Atheneum | |||
Concerto (o I musici) | 1597 | Olio su tela | 87,9 × 115,9 cm | New York | Metropolitan Museum of Art | |||
Ragazzo morso da un ramarro | 1595-1596 | Olio su tela | 65,8 × 52,3 cm | Firenze | Fondazione Roberto Longhi | Prima versione dell’opera. | ||
Suonatore di liuto | 1595-1596 | Olio su tela | 100 × 126,5 cm | San Pietroburgo | Museo dell’Ermitage | Prima versione dell’opera. | ||
Riposo durante la fuga in Egitto | 1595-1596 | Olio su tela | 133,5 x 166,5 cm | Roma | Galleria Doria Pamphilj | |||
Canestra di frutta | 1596 | Olio su tela | 46 × 64,5 cm | Milano | Pinacoteca Ambrosiana | |||
Suonatore di liuto | 1596-1597 | Olio su tela | 100 × 126,5 cm | New York | Metropolitan Museum of Art | Seconda versione dell’opera. | ||
Bacco | 1596-1597 | Olio su tela | 95 × 85 cm | Firenze | Galleria degli Uffizi | in questo quadro Caravaggio rappresenta se stesso da giovane | ||
Buona ventura | 1596-1597 | Olio su tela | 99 × 131 cm | Parigi | Musée du Louvre | Seconda versione dell’opera. | ||
Medusa | 1597 circa | Olio su tela montato su tavola | 60 × 55 cm | Firenze | Galleria degli Uffizi | |||
Ritratto di cortigiana | 1597 circa | Olio su tela | 66 × 53 cm | Berlino | Kaiser Friedrich Museum | Distrutta nel 1945. | ||
Giove, Nettuno e Plutone | 1597 circa | Olio su muro | 300 × 180 cm | Roma | Villa Ludovisi | |||
Santa Caterina d’Alessandria | 1597 | Olio su tela | 173 × 133 cm | Madrid | Museo Thyssen-Bornemisza | |||
Davide e Golia | 1597-1598 | Olio su tela | 116 × 91 cm | Madrid | Museo del Prado | |||
Sacrificio di Isacco | 1602 | Olio su tela | 104 × 135 cm | Firenze | Galleria degli Uffizi | |||
San Giovanni Battista | 1598 circa | Olio su tela | 169 × 112 cm | Toledo | Museo del Tesoro Catedralico | |||
Marta e Maria Maddalena | 1598 circa | Olio su tela | 100 × 134 cm | Detroit | Institute of Arts | |||
Ritratto di Maffeo Barberini | 1598 circa | Olio su tela | 124 × 90 cm | Firenze | Collezione privata | |||
Narciso | tra il 1597 e il 1599 | Olio su tela | 112 × 92 cm | Roma | Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini | Secondo molti storici dell’arte si tratterebbe di un’opera di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino. | ||
Giuditta e Oloferne | 1602 | Olio su tela | 145 × 195 cm | Roma | Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini | |||
Vocazione di san Matteo | 1599-1600 | Olio su tela | 322 × 340 cm | Roma | Chiesa di San Luigi dei francesi | |||
Martirio di San Matteo | 1600-1601 | Olio su tela | 323 × 343 cm | Roma | Chiesa di San Luigi dei francesi | |||
Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi | 1600? 1609? | Olio su tela | 268 × 197 cm | Palermo | Oratorio di San Lorenzo | Trafugato nel 1969. Secondo l’Antimafia l’opera non andò distrutta come si credeva, bensì è stata divisa in pezzi e portata all’estero | ||
Conversione di San Paolo | 1600-1601 | Olio su tavola di cipresso | 237 × 189 cm | Roma | Collezione privata Odescalchi-Balbi di palazzo Odescalchi | |||
Crocefissione di San Pietro | 1600-1601 | Olio su tela | 230 × 175 cm | Roma | Basilica di Santa Maria del Popolo | |||
Conversione di San Paolo | 1600-1601 | Olio su tela | 230 x 175 cm | Roma | Basilica di Santa Maria del Popolo | |||
Incredulità di San Tommaso | 1600-1601 | Olio su tela | 107 × 146 cm | Potsdam | Sanssouci | |||
Cena in Emmaus | 1599 | Olio su tela | 139 × 195 cm | Londra | National Gallery | |||
San Matteo e l’angelo | 1602 | Olio su tela | 295 × 195 cm | Berlino | Kaiser Friedrich Museum | Distrutto nel 1945 | ||
San Matteo e l’angelo | 1602 | Olio su tela | 295 × 195 cm | Roma | Chiesa di San Luigi dei francesi | |||
San Giovanni Battista | 1602 | Olio su tela | 129 × 94 cm | Roma | Pinacoteca Capitolina | |||
San Giovanni Battista | 1602 | Olio su tela | 129 × 94 cm | Roma | Galleria Doria Pamphilj | Tela analoga per composizione e dimensione a quella della Pinacoteca Capitolina (sempre di Roma e sempre del 1602). | ||
Cattura di Cristo | 1602 | Olio su tela | 133,5 × 169,5 cm | Dublino | National Gallery of Ireland | |||
Amor Vincit Omnia | 1602-1603 | Olio su tela | 156 × 113 cm | Berlino | Gemäldegalerie | |||
Incoronazione di spine | 1602-1603 | Olio su tela | 125 × 178 cm | Prato | Galleria di palazzo degli Alberti | |||
Sacrificio di Isacco | 1603 | Olio su tela | 116 x 173 cm | Princeton | Barbara Piasecka-Johnson Collection | Seconda versione di quella 1598 di Firenze, diversa per dimensione e composizione. | ||
Deposizione di Cristo | tra il 1602 e il 1604 | Olio su tela | 300 × 203 cm | Città del Vaticano | Pinacoteca Vaticana | |||
San Giovanni Battista | 1604 | Olio su tela | 172,5 × 104,5 cm | Kansas City | Nelson-Atkins Museum of Art | Quarta versione rispetto a quella del 1598 di Toledo. | ||
Morte della Vergine | 1604 | Olio su tela | 369 × 245 cm | Parigi | Musée du Louvre | |||
Maddalena Addolorata | 1605-1606 | Olio su tela | 112 x 92 cm | Roma | Collezione privata | |||
San Giovanni Battista | 1604 circa | Olio su tela | 94 × 131 cm | Roma | Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Corsini | Quinta versione rispetto a quella del 1598 di Toledo. | ||
San Francesco in preghiera | 1605 | Olio su tela | 128 × 97 cm | Roma | Galleria nazionale d’arte antica di Palazzo Barberini | |||
Ecce Homo | 1605 circa | Olio su tela | 128 × 103 cm | Genova | Galleria di Palazzo Bianco | |||
San Girolamo in meditazione | 1605 circa | Olio su tela | 118 × 81 cm | Monistrol de Montserrat | Santa Maria de Montserrat | |||
San Girolamo scrivente | 1605 circa | Olio su tela | 112 × 157 cm | Roma | Galleria Borghese | |||
Madonna col Bambino e Sant’Anna | 1605 | Olio su tela | 292 × 211 cm | Roma | Galleria Borghese | |||
Madonna dei Pellegrini (Madonna di Loreto) | tra il 1604 e il 1606 | Olio su tela | 260 × 150 cm | Roma | Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio | |||
Cristo sul monte degli Ulivi | tra il 1604 e il 1606 | Olio su tela | 154 × 222 cm | Berlino | Kaiser Friedrich Museum | Distrutto nel 1945. | ||
Ritratto di Papa Paolo V | 1605-1606 | Olio su tela | 203 × 119 cm | Roma | Collezione privata (Palazzo Borghese) | |||
Sacra famiglia con San Giovanni Battista | 1605-1606 | Olio su tela | 116 × 94 | Caracas | Collezione privata Otero Silva | Il dipinto è in deposito presso il Metropolitan Museum of Art di New York. | ||
San Francesco in preghiera | 1605-1606 | Olio su tela | 130 × 90 cm | Cremona | Museo civico Ala Ponzone, Cremona | |||
Maria Maddalena in estasi | 1606 | Olio su tela | 106,5 × 91 cm | Roma | Collezione privata | |||
Cena in Emmaus | 1606 | Olio su tela | 141 × 175 cm | Milano | Pinacoteca di Brera | |||
Sette opere di Misericordia | 1606-1607 | Olio su tela | 390 x 260 cm | Napoli | Pio Monte della Misericordia | |||
Cristo alla colonna | 1606-1607 | Olio su tela | 134,5 × 175,5 cm | Rouen | Musée des Beaux-Arts | |||
Crocifissione di Sant’Andrea | 1607 | Olio su tela | 202,5 × 152,7 cm | Cleveland | Cleveland Museum of Art | |||
Davide con la testa di Golia | 1607 | Olio su tavola | 90,5 × 116 cm | Vienna | Kunsthistorisches Museum | |||
Madonna del Rosario | 1607 | Olio su tela | 364 × 249 cm | Vienna | Kunsthistorisches Museum | |||
Incoronazione di spine | 1603-1604 circa | Olio su tela | 127 × 165 cm | Vienna | Kunsthistorisches Museum | |||
Flagellazione di Cristo | 1607-1608 | Olio su tela | 286 × 213 cm | Napoli | Museo nazionale di Capodimonte | |||
San Girolamo scrivente | 1608 | Olio su tela | 117 × 157 cm | La Valletta | Concattedrale di San Giovanni | |||
Ritratto di Alof de Wignacourt | 1608 | Olio su tela | 195 × 134 cm | Parigi | Musée du Louvre | |||
Decollazione di San Giovanni Battista | 1608 | Olio su tela | 361 × 520 cm | La Valletta | Concattedrale di San Giovanni | Questo è il dipinto più grande per dimensioni del Caravaggio. È anche l’unica sua tela firmata (nel sangue del santo) | ||
Amorino dormiente | 1608-1609 | Olio su tela | 72 × 105 cm | Firenze | Palazzo Pitti, Galleria Palatina | |||
Il Cavadenti | 1608 | Olio su tela | 195 x 140 cm | Firenze | Palazzo Pitti, Galleria Palatina | |||
Ritratto di Fra Antonio Martelli | 1608-1609 | Olio su tela | 118,5 × 95 cm | Firenze | Palazzo Pitti, Galleria Palatina | |||
Seppellimento di Santa Lucia | 1608 | Olio su tela | 408 x 300 cm | Siracusa | Chiesa di Santa Lucia alla Badia | |||
Annunciazione | 1609 circa | Olio su tela | 285 × 205 cm | Nancy | Musée des Beaux-Arts | |||
Resurrezione di Lazzaro | 1609 | Olio su tela | 380 × 275 cm | Messina | Museo Regionale | |||
Adorazione dei pastori | 1609 | Olio su tela | 314 × 211 cm | Messina | Museo Regionale | |||
Salomè con la testa del Battista | 1609 | Olio su tela | 116 x 140 cm | Madrid | Palazzo Reale | |||
Salomè con la testa del Battista | 1607-1610 | Olio su tela | 91 × 106 cm | Londra | National Gallery | |||
Negazione di San Pietro | 1609-1610 | Olio su tela | 94 × 125 cm | New York | Metropolitan Museum of Art | |||
Davide con la testa di Golia | 1609-1610 | Olio su tela | 125 × 101 cm | Roma | Galleria Borghese | |||
San Giovanni Battista disteso | 1610 | Olio su tela | 106 x 179.5 cm | Monaco | Collezione privata | |||
San Giovanni Battista | 1610 circa | Olio su tela | 159 × 124 cm | Roma | Galleria Borghese | |||
Martirio di Sant’Orsola | 1610 | Olio su tela | 106 x 179,5 cm | Napoli | Galleria di palazzo Zevallos | Ultima opera conosciuta del Caravaggio. |
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