Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura. Galleria Borghese Roma

🇮🇹 Dal 1 marzo al 22 maggio 2022 la Galleria Borghese inaugura la mostra Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura, la prima di una serie di mostre internazionali dedicate al Maestro del Seicento italiano.

La mostra ruota attorno al ritrovato dipinto di Reni Danza campestre (1605 circa), che da un anno è tornato a fare parte della collezione del museo. Appartenente alla collezione del cardinale Scipione Borghese, citato negli antichi inventari sin dall’inizio del Seicento, venduto nell’Ottocento, prima disperso, e poi ricomparso nel 2008 sul mercato antiquario londinese come anonimo bolognese, il quadro, dopo le opportune verifiche attributive, è stato riacquistato dalla Galleria nel 2020. Oltre a rappresentare un’importante integrazione storica del patrimonio del museo, la sua presenza nelle sale della pinacoteca accanto agli altri dipinti della collezione sottolinea la fondamentale importanza della committenza Borghese per Guido Reni e offre l’opportunità di riflettere sul rapporto del pittore con il soggetto campestre e la pittura di paesaggio, finora ritenuti “estranei” alla sua produzione.

Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura attraverso l’esposizione di oltre 30 opere, prova a ricostruire – partendo dall’interesse di Reni per la pittura di paesaggio in rapporto ad altri pittori operanti a Roma nel primo Seicento – i primi anni del soggiorno romano dell’artista, il suo studio appassionato dell’antico e del Rinascimento, lo stordimento rispetto alla pittura di Caravaggio da lui conosciuto e frequentato, e i rapporti con i suoi committenti.

Il percorso di mostra si aprirà al piano terra nel grande salone d’ingresso con 4 monumentali pale d’altare – la Crocifissione di San Pietro (1604-5)la Trinità con la Madonna di Loreto e il committente cardinale Antonio Maria Gallo (1603-4 c.a), il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (1606 c.a) e il Martirio di Santa Cecilia (1601) – che evidenziano la capacità dell’artista, maturata già negli anni precedenti all’arrivo a Roma, di confrontarsi con questa tipologia,  di toccare gli animi attraverso la solennità e la potenza delle sue figure perfette, e ci rivelano molto anche del rapporto di Reni con i suoi committenti: Paolo Emilio Sfondrato, Antonio Maria Gallo, Ottavio Costa e Pietro Aldobrandini.

Nelle sale contigue opere come la Strage degli Innocenti (1611) e San Paolo rimprovera San Pietro penitente (1609 c.) confermano come alla base della pittura romana di Guido Reni, ma anche di quella che si spinge un poco più in là negli anni come con Lot e le figlie e Atalanta e Ippomene (1615-20), ci sia una forte attrazione per il mestiere degli scultori, dimostrata dalla posizione dei corpi nello spazio, dalla concretezza tridimensionale dei gesti, dalle espressioni dei volti che, magistralmente, fissano per sempre una specifica emozione.

Al primo piano, nella seconda parte della mostra, prestiti generosi e le eccezionali raccolte della Galleria consentono percorsi e divagazioni intorno al tema del paesaggio e all’ultimo acquisto della collezione, la Danza Campestre: nella Sala del Lanfranco, per sottolineare la pratica della pittura di paesaggio a Roma nel primo decennio del Seicento, sono esposte alcune delle necessarie premesse emiliane, dal Paesaggio con la caccia al cervo di Niccolò dell’Abate alla Festa campestre (1584) di Agostino Carracci, alcuni quadri di Paul Bril parte della collezione della Galleria, e Paesaggio con Arianna abbandonata e Paesaggio con Salmace ed Ermafrodito (1606-8 c.a), due dei sei paesaggi con storie mitologiche di Carlo Saraceni, già parte della collezione Farnese, provenienti dal Museo e Real Bosco di Capodimonte.

E ancora alcune tarde e letterarie sperimentazioni dei pittori bolognesi, dai quattro tondi di Francesco Albani – paesaggi eseguiti nel 1621 per Scipione Borghese e abitati da dee e ninfe – al Paesaggio con Silvia e il satiro (1615) del Domenichino proveniente dalla Pinacoteca di Bologna, testimonianza di un interesse che continua nei decenni successivi a quei primi intensi momenti del secolo.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Marsilio con testi, tra gli altri, di Daniele Benati, Raffaella Morselli e Maria Cristina Terzaghi; una rilettura innovativa del lavoro del Maestro attraverso uno studio scientifico su Guido Reni come paesaggista.

Con la volontà di consentire il maggior accesso possibile alla mostra e di sostenere i consumi culturali, la direzione della Galleria Borghese ha scelto di non applicare maggiorazioni sul costo del biglietto, che rimarrà pertanto invariato e permetterà l’accesso alla mostra e alla collezione permanente.


IL DIPINTO DANZA CAMPESTRE DI GUIDO RENI RITORNA A FARE PARTE DELLA COLLEZIONE DEL CARDINALE SCIPIONE BORGHESE

IL DIPINTO DANZA CAMPESTRE DI GUIDO RENI RITORNA A FARE PARTE DELLA COLLEZIONE DEL CARDINALE SCIPIONE BORGHESE.Guido Reni (Bologna 1575-1642), Danza campestre, 1601-1602 c. , olio su tela 81 x 99 cm

Il dipinto Danza campestre di Guido Reni è tornato alla Galleria Borghese.

Comparso sul mercato antiquario nel 2008 a Londra, riferito ad un anonimo artista bolognese, dopo le prime ipotesi attributive ne è stata riconosciuta la mano di Guido Reni, grazie anche all’individuazione del dipinto all’interno degli inventari e delle descrizioni della collezione di Scipione Borghese. Dopo la sua esposizione al TEFAF a marzo 2020 presso la galleria Fondantico, l’opera è stata acquistata dalla Galleria Borghese realizzando così il recupero eccezionale di un dipinto ritenuto a lungo disperso e il suo rientro definitivo in Italia.

La scena raffigura una festa campestre: un ballo, accompagnato dalla musica del liuto e della viola da braccio, organizzato da un gruppo di contadini, al quale assistono benevolmente alcune dame e signori del luogo. I personaggi sono seduti in cerchio, in una radura tra gli alberi accanto alla quale scorre un ruscello. Al centro, un giovane villano invita una dama ad aprire le danze. E lo sguardo scorre attraverso la varietà degli atteggiamenti dei personaggi: una dama un poco annoiata si rivolge verso la sua vicina, due donne si prendono cura di un bimbo, il suonatore di liuto si interrompe per prendere una delle fiasche poste a rinfrescare sulla riva. Il paesaggio collinare è costellato di castelli, casali e una piccola chiesa. In un particolare del dipinto, su un cielo oscuro e nuvoloso, il pittore sembra voler dimostrare la propria abilità: due mosche si posano sulla superficie della tela, quasi a voler sollecitare l’osservatore a scacciarle con la mano.

La documentata provenienza di questo dipinto dalla collezione di Scipione Borghese e il suo rinvenimento consentono di precisare la fondamentale importanza della committenza Borghese per Guido Reni. Il Cardinale desiderava fare di Reni il suo pittore di corte considerandolo, dopo la morte di Annibale Carracci, l’artista più importante presente sulla scena romana. A lui la famiglia Borghese, nella persona del papa Paolo V, affidò gli affreschi della Cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e uno dei suoi massimi capolavori, l’Aurora nel casino ora Pallavicini-Rospigliosi, quando questo era la prima impresa edile e residenza del Cardinale Scipione Borghese.

Sono più di una le opere dell’artista che facevano parte della collezione, a conferma di questa predilezione. Tuttora la Galleria possiede un’altra importante opera di Guido Reni, di tipologia e soggetto del tutto differenti, il Mosè con le tavole della Legge, riferibile alla maturità dell’artista.

La consuetudine di Reni con il paesaggio era in precedenza pressoché sconosciuta: non ne fanno menzione le fonti, mentre emergono le sue prove nei generi maggiori, di tono elevato e ideale. Il pittore si dedica a questo genere, presto abbandonato, nei primi anni del suo soggiorno romano. La cultura bolognese dei Carracci e in particolare di Annibale, gli echi dei paesaggi di Nicolò dell’Abate, sono ancora alla base della costruzione di un dipinto come la Danza campestre, fissandone la datazione agli anni 1601-02. Questa importante opera di paesaggio contribuisce quindi a integrare il percorso artistico e i diversi ambiti di ricerca sperimentati dall’artista bolognese.

Dopo il suo arrivo in Galleria e appena possibile, in accordo con le decisioni sulla riapertura dei Musei, il dipinto verrà presentato al pubblico in una cornice di iniziative che ne illuminino l’origine e il suo posto nel contesto romano di primo Seicento.