Sedici opere di Artemisia Gentileschi, tutte — ad eccezione di due provenienti da Capodimonte — mai esposte a Napoli e una mai esposta in assoluto. La mostra inaugurata ieri al Museo Diocesano di Napoli è un vero unicum: la prima monografica sul «Caravaggio femmina, anche per quotazione, artista sempre più blockbuster. Sin dal titolo, Artemisia Gentileschi tra Roma, Firenze e Napoli — spiega il curatore Pierluigi Leone de Castris — il percorso espositivo ricostruisce le varie fasi di quest’artista indicata come “la donna forte”: al di là della narrazione che se ne fa, spesso concentrata sul primo processo per stupro, Artemisia ebbe grandissimo talento, fu anche un’abile imprenditrice di se stessa e della sua bottega». L’esposizione, realizzata con il sostegno della Regione Campania, sarà aperta al pubblico da oggi fino al 3 luglio. A inaugurarla ieri il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, accolto dal curatore, dal vicario per la cultura della Curia di Napoli, padre Adolfo Russo e dal direttore Elio de Rosa.
Prestiti importanti
«Non è stato semplice convincere prestatori come la Galleria degli Uffizi e Palazzo Pitti, eppure ci siamo riusciti anche perché — chiarisce de Castris — ci stimo lavorando da tempo, molto prima che s’annunciasse la mostra collettiva ispirata ad Artemisia che ha chiuso i battenti da poco alle Gallerie d’Italia». Da Palazzo Pitti arriva la vera star della mostra, incastonata magnificamente nella sala del museo soprattutto vista dalla prospettiva del coro: una straordinaria Maddalena fasciata in seta oro, imponente, seduttiva eppure corrucciata: un vero capolavoro. Tra le altre opere tante interpretazioni del soggetto di Giuditta a cominciare da quella precoce del Museo di Capodimonte fino a quella della Galleria Palatina e della Galleria degli Uffizi a Firenze, che rappresentano forse la traduzione più efficace, originale e violenta del soggetto per almeno due volte prescelto da Caravaggio.
Sezioni dalla giovinezza agli anni napoletani
Quattro le sezioni: La giovinezza, La formazione con Orazio e i primi successi (1593-1620); Autoritratti, Giuditta e altre eroine; Gli anni della maturità (1620-1654) e Artemisia a Napoli (1630-1654). Qui l’artista restò per ben venticinque anni con una pausa del soggiorno a Londra (1638-1640). «Sono anni terribili — spiega padre Adolfo Russo — nel 1631 erutta il Vesuvio, segue la rivolta di Masaniello da parte di un popolo giunto all’esasperazione. Eppure lei reagì sempre con forza: vorrei che la sua arte e la sua vita fossero un esempio di forza in questi anni di crisi».
L’opera mai esposta prima
Tra le preziosità il Riposo nella fuga in Egitto di recente attribuzione e mai esposta prima. E c’è anche Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne, da una collezione privata «opera controversa che Sgarbi attribuisce a Caravaggio, ma che per me viene dalla bottega Gentileschi per mano di Artemisia o del padre Orazio. Mancano all’appello varie opere tra cui quella che le commissionò Andrea d’Avalos. Ma siamo fiduciosi che possano ancora venir fuori» conclude de Castris.
Tra gli altri committenti Giangirolamo Acquaviva d’Aragona e il messinese Antonio Ruffo al quale avrebbe rivelato nel 1649 le grandi spese sostenute per dipingere dal modello nudo e “dal naturale” («le spese son molte per […] tenere queste femine igniude […] che se ne espoglino cinquanta e apena gine bona una»), avrebbe chiesto la notevole somma di 500 ducati per due quadri, dichiarato la sua abitudine a farsi pagare 100 scudi per ogni figura dipinta, ma offerto anche quadri a prezzi di saldo e rivelato sia le sue disgrazie («son fallita» !) sia però di avere «un animo di Cesare nell’anima d’una donna» e di voler fargli «vedere […] quello che sa fare una donna».