Le disobbedienti, Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte
Informarsi per informare, la scrittrice Elisabetta Rasy racconta nel suo libro Le disobbedienti, Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte, anche la vita di Artemisia Gentileschi, nata a Roma l’ 8 luglio 1593 e morta a Napoli il 31 gennaio 1653, pittrice (o pittora come lei stessa si definiva) di scuola caravaggesca, considerata un’icona femminista rivoluzionaria e un’artista innovativa per l’energia travolgente che seppe infondere nella rappresentazione della figura femminile. Artemisia crebbe a Roma, in un’epoca in cui la città era il centro della pittura; figlia primogenita del pittore Orazio Gentileschi, rimase orfana di madre già all’età di dodici anni. Pur dovendosi occupare dei tre fratelli e delle faccende di casa, ben presto si dimostrò interessata al mestiere del padre, il cui atelier era adiacente alla loro abitazione
Tenacia e talento
La scrittrice Elisabetta Rasy racconta nel suo libro Le disobbedienti, Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte, anche la vita di Artemisia Gentileschi, nata a Roma l’ 8 luglio 1593 e morta a Napoli il 31 gennaio 1653, pittrice (o pittora come lei stessa si definiva) di scuola caravaggesca, considerata un’icona femminista rivoluzionaria e un’artista innovativa per l’energia travolgente che seppe infondere nella rappresentazione della figura femminile.
Artemisia crebbe a Roma, in un’epoca in cui la città era il centro della pittura; figlia primogenita del pittore Orazio Gentileschi, rimase orfana di madre già all’età di dodici anni. Pur dovendosi occupare dei tre fratelli e delle faccende di casa, ben presto si dimostrò interessata al mestiere del padre, il cui atelier era adiacente alla loro abitazione.
“La figlia di Orazio,- racconta Elisabetta Rasy – in quell’antro delle illusioni che è la casa-atelier di un artista, si specchiava spesso: con la rara eccezione di qualche vicina di casa e serva di passaggio era lei stessa l’unica modella che aveva a disposizione.”
In quel tempo a Roma operava Michelangelo Merisi già noto come Caravaggio, con il quale Orazio ebbe un rapporto di amicizia; certamente anche Artemisia, come molti altri colleghi, fu colpita da quell’artista che aveva introdotto il realismo nella pittura.
La formazione di Artemisia quindi avvenne nell’atelier del padre, che era frequentato da molti pittori, tra i quali Agostino Tassi, che insegnava ad Artemisia la tecnica della prospettiva.
“Lo chiamano lo Smaniagrasso – come descrive la Rasy – è uno che si vanta, litiga, imbroglia. Qualcuno sostiene che abbia fatto uccidere sua moglie, a Lucca, perché lei gli aveva rubato ottocento ducati. Dicono anche cha vada a letto con la cognata e sia stato processato per adulterio e che le sue sorelle facciano, da lui dirette, le prostitute. Quando comincia a frequentare la casa di via della Croce non ha ancora trent’anni, è brutto, ma, quando ci si mette, seducente. La diciottenne Artemisia è lusingata dalle sue attenzioni, forse s’innamora, forse crede alle sue promesse di matrimonio (…), in un giorno di maggio del 1611, mentre Orazio lavora sulle impalcature della Loggetta delle muse, Agostino stupra Artemisia. “.
In quell’epoca la violenza sessuale non era considerata un reato contro la donna, ma contro l’onore della famiglia e il Tassi, per evitare una condanna, offrì un matrimonio riparatore. Ma a un anno dalla promessa le nozze non erano ancora avvenute e così Artemisia si decise a denunciare il Tassi per stupro, anche se Elisabetta Rasy precisa che di fatto fu il padre Orazio, e non Artemisia, a prendere la decisione. Il criminale stupratore sarà condannato, ma sarà soprattutto la pittrice a uscire afflitta dal processo: il suo onore e quello della famiglia Gentileschi era compromesso.
Poco dopo la fine del processo Artemisia, incitata dal padre, per mettere a tacere le voci sul suo conto si sposò con il pittore fiorentino Pierantonio Stiattesi e si trasferì a Firenze
Artemisia portò con sé una lettera scritta dal padre per introdurla presso la corte medicea: “Mi ritrovo una figlia femmina con altri tre maschi e questa femmina, havendola drizzata nella professione della pittura, in tre anni si è talmente appraticata che posso dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatto opere, che forse principali maestri di questa professione non arrivando al suo sapere.”
Orazio Gentileschi
La cerchia del granduca Cosimo II si aprì alla giovane e talentuosa pittrice e presto la sua fama a Firenze crebbe rapidamente. Nel frattempo Artemisia, fino ad allora analfabeta, imparò a leggere e a scrivere e diventò così amica di uomini illustri come Galileo Galilei e il bis-nipote del Buonarroti, Michelangelo il Giovane. Nel 1616 sarà la prima donna a essere ammessa all’Accademia del Disegno, che era stata fondata circa 50 anni prima dal Granduca Cosimo I su suggerimento di Giorgio Vasari.
Il matrimonio organizzato dal padre si rivelò utile soprattutto al marito, ben contento del successo della moglie che tra l’altro provvedeva al sostentamento della famiglia (negli anni a seguire la coppia avrà quattro figli). Artemisia scoprì anche l’amore, non con il marito, ma con un nobile fiorentino di nome Francesco Maria Maringhi, un alto funzionario e autorevole ufficiale mediceo. Numerose lettere, comparse alcuni anni fa, sono la testimonianza del loro rapporto.
Nel corso della sua vita Artemisia dipinse sia ritratti che opere religiose o di soggetto biblico, tutti lavori animati da una violenta espressività e forti contrasti in chiaroscuro di impronta caravaggesca. Dipinse almeno sette versioni di Giuditta e Oloferne, quadri violenti e truci, che sono occasioni per l’artista di rappresentarsi in dei veri e propri autoritratti, non soltanto figurativi ma anche psicologici. Artemisia realizza tuttavia anche alcuni tra i più sensuali nudi femminili, nei quali sono riconoscibili le forme della sua figura.
In quest’intervista Elisabetta Rasy, autrice di Le disobbedienti racconta brevemente a Rai Cultura i momenti salienti della vita di Artemisia Gentileschi.
Si ringrazia Wadsworth Atheneum Museum of Art, Hartford, CT. Charles H. Schwartz Endowment Fund. per la gentile concessione dell’uso dell’opera Artemisia Gentileschi, “Autoritratto con liuto,” c. 1615-18.